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Questo contributo si propone di esaminare con spirito critico l’articolo a firma di Salvatore Cusumano, intitolato «Novant’anni di Buffarini-Guidi», pubblicato sull’organo ufficiale delle Assemblee di Dio in Italia, Il Risveglio Pentecostale.
Ho scelto uno stile talvolta volutamente ridondante, nonostante ciò possa appesantire la lettura, per sottolineare aspetti cruciali, affinché essi non sfuggano all’attenzione del lettore e possano essere pienamente compresi.
La verità storica, ammoniva Tacito, è il primo sacrificio degli ideologi. Quando la narrazione viene piegata a scopi confessionali o identitari, non solo si falsificano i fatti, ma si compromette l’intero tessuto della memoria collettiva. Tale errore si manifesta emblematicamente nel tentativo di collegare la persecuzione dei pentecostali durante il fascismo alla fondazione delle ADI nel 1947: una ricostruzione storicamente infondata e teologicamente fallace.
Benché mai enunciata esplicitamente, l’articolazione del testo di Cusumano insinua una continuità tra il pentecostalismo perseguitato degli anni Trenta e la costituzione delle ADI nel dopoguerra. Tale connessione, suggerita in modo surrettizio, si manifesta nel momento in cui, dopo aver descritto le vessazioni patite dalle prime comunità, l’autore introduce senza alcuna cesura logica la seguente affermazione:
Le chiese, nel frattempo, in occasione dei Convegni del 1947 e del 1948, come determinato dalla Legge sui culti ammessi, avevano assunto la denominazione di “Assemblee di Dio in Italia”
Ma no, caro Pastore Cusumano, il passaggio non fu affatto così lineare come quel tuo «nel frattempo» lascerebbe intendere. Benché formalmente neutra e classificabile come semplice locuzione avverbiale di tempo, tale espressione agisce qui come una cerniera retorica, insinuando una continuità cronologica e ideologica che non trova riscontro né nei fatti storici né nei documenti. Dietro quella locuzione temporale si cela in realtà una cesura profonda, una discontinuità storica e teologica che il tuo testo elude, omettendo intenzionalmente i nodi irrisolti di una transizione tutt’altro che neutra. Le Assemblee di Dio in Italia non furono affatto vittime della repressione fascista, come si lascia credere in dichiarazioni ufficiali o in conferenze istituzionali; esse nacquero piuttosto nel 1947 all’interno di un contesto radicalmente mutato, in parte estraneo, se non addirittura distante, dalla temperie eroica e perseguitata che aveva contraddistinto il pentecostalismo italiano delle origini.
La sezione «Chi siamo» del sito ufficiale delle ADI conferma questa tendenza alla mitopoiesi, insinuando un’eredità immaginaria dalle persecuzioni del 1935–1944. Nulla di più falso: quella delle ADI è una costruzione posteriore, frutto di dinamiche teologiche e istituzionali diverse, maturate in un’epoca successiva e in discontinuità con il pentecostalismo spontaneo, battista-riformato e non denominazionale delle origini. È necessario ristabilire la verità documentale e rimuovere le incrostazioni ideologiche, affinché la memoria delle vittime non venga oltraggiata una seconda volta, persino post mortem, mediante una strumentalizzazione funzionale a interessi apologetici.
1. La Circolare Buffarini-Guidi: natura, contenuti e destinatari reali
La circolare n. 600/158 del 9 aprile 1935, firmata dal Ministro dell’Interno Guido Buffarini-Guidi, vietava il culto pentecostale in quanto considerato lesivo all’integrità fisica e psichica della razza e dell’ordine pubblico. Il provvedimento si basava sulla percezione che i fenomeni estatici e carismatici tipici delle assemblee pentecostali rappresentassero una minaccia per la stabilità del regime.
Tuttavia, nel 1935 le ADI non esistevano: la loro fondazione avvenne solo dodici anni più tardi, nel 1947, a opera di Henry H. Ness. Le comunità colpite dal provvedimento fascista erano realtà indipendenti, prive di struttura centralizzata, spesso ostili alla figura del «pastore» professionista e distanti da ogni forma di confessionismo organizzato. Non avevano legami con le Assemblies of God americane e si riconoscevano piuttosto nella spiritualità sobria e riformata della Chiesa Presbiteriana Italiana di Chicago e in quella pentecostale di William Durham seguendo l’esempio di pionieri come Luigi Francescon, Giacomo Lombardi, Pietro Ottolini e Lucia Menna.
L’articolo di Cusumano, nel suggerire un nesso storico tra le persecuzioni fasciste e la nascita delle ADI, costruisce una narrazione artificiosa, che trova ulteriore sponda nelle comunicazioni ufficiali della denominazione. Così facendo, si rischia di sovrapporre due realtà storicamente, teologicamente ed ecclesiologicamente disomogenee, oscurando la fisionomia autentica del pentecostalismo italiano delle origini, che si definiva per spontaneità carismatica, indipendenza teologica e l’assoluto rigetto della centralizzazione istituzionale.
2. L’anacronismo e la costruzione di un mito identitario
Oltre alla continuità insinuata nel testo di Cusumano, un ulteriore slittamento ideologico si manifesta nella tendenza a mitizzare la genealogia delle ADI, presentandole come naturale prosecuzione del pentecostalismo delle origini. Questa operazione, ben visibile tanto nella storiografia interna quanto nella comunicazione ufficiale dell’ente, si configura come una forzatura storiografica priva di fondamento. Si tratta, in effetti, di un’appropriazione indebita della memoria di coloro che, perseguitati per la loro fede, rifiutarono ogni forma di centralizzazione confessionale e pagarono con l’esclusione e la clandestinità la propria coerenza.
Fondate nel 1947, le Assemblee di Dio in Italia emersero in un contesto teologico ed ecclesiologico profondamente mutato rispetto a quello delle comunità pentecostali perseguitate: un contesto ormai segnato da influenze dottrinali esterne, da strutture istituzionali d’importazione e da una concezione del ministero pastorale radicalmente diversa. Quelle prime comunità, nate in povertà e fervore, rigettavano non solo le gerarchie confessionali, ma anche il titolo stesso di «pastore» – oggi ostentato da coloro che ne rivendicano l’eredità. Sovrapporre queste due realtà, dissimili per natura, spirito e teologia, significa non solo tradire la verità storica, ma profanare la singolarità autoctona e riformata del pentecostalismo italiano delle origini.
2.1. La sovrapposizione indebita
Nel tentativo di legittimare una continuità storica tra il pentecostalismo perseguitato e quello istituzionalizzato, l’articolo di Cusumano suggerisce una relazione che non trova alcun riscontro nella realtà documentale. Le ADI, fondate nel 1947, non esistevano durante il periodo delle persecuzioni fasciste, e il movimento pentecostale italiano degli anni ’30 si distingueva per una struttura spontanea, priva di denominazioni ufficiali e centralizzate. Al contrario, esso rigettava ogni forma di confessionismo istituzionale, in nome della libertà dello Spirito e della sufficienza delle Scritture.
Attribuire al pentecostalismo delle ADI l’eredità delle comunità perseguitate significa oscurare le profonde divergenze ecclesiologiche e dottrinali: mentre le prime comunità si radicavano nella tradizione battista e riformata e rigettavano la seconda benedizione wesleyana e il dispensazionalismo darbysta, le ADI assunsero progressivamente una teologia arminiana e una visione escatologica di marca americana. L’introduzione della dottrina delle «due fasi del ritorno di Cristo», estranea alla fede dei pionieri, non solo nega la tradizione escatologica delle origini, ma si rivela funzionale a una rilettura politica e teologica del sionismo, favorendo il progressivo allineamento della teologia pentecostale italiana alle dinamiche geopolitiche del secondo dopoguerra.
2.2. Il ruolo di Domenico Zaccardi
Una delle figure più ambigue di quel periodo fu Domenico Zaccardi — definito dalle autorità di allora «irriducibile» —, inizialmente vittima delle restrizioni imposte dalla circolare Buffarini-Guidi, ma in seguito fautore di una visione settaria e divisiva del pentecostalismo, pur provenendo dal nucleo originario del movimento. Nato nel 1900, Zaccardi divenne il fulcro del cosiddetto «movimento zaccardiano», contraddistinto da una rigorosa ortodossia dottrinale e da un carisma personale accentratore, che finì per alimentare fratture interne e derive settarie.
Il suo passato da ufficiale di polizia durante il regime fascista — elemento raramente messo in luce — si rifletté nello stile di governo ecclesiale, segnato da un marcato verticalismo e da forme di controllo disciplinare che contrastavano apertamente con lo spirito libero e non istituzionalizzato del primo pentecostalismo. La sua figura rappresenta emblematicamente una deriva settaria del movimento: da comunità carismatica perseguitata a sistema chiuso e gerarchico, più attento al mantenimento dell’ordine che alla vitalità dello Spirito.
Sebbene alcune ricostruzioni tentino di presentarlo come leader eroico, il ruolo di Zaccardi contribuì a consolidare una logica di esclusione e divisione, in aperta rottura con la visione comunitaria, profetica e non autoritaria che animava i fondatori del pentecostalismo italiano. La sua eredità, lungi dal rappresentare una continuità, segna piuttosto un punto di frattura, eclissando la genuinità spirituale delle origini sotto il peso di una leadership imposta e non più ricevuta dallo Spirito Santo.
2.3. La costruzione di un mito identitario
La narrazione che presenta le ADI come eredi dirette del pentecostalismo perseguitato è, a tutti gli effetti, un’opera di mitopoiesi confessionale. Essa mira a ricostruire un’identità postbellica attraverso una memoria selettiva e manipolata, eludendo la cesura teologica, ecclesiologica e spirituale tra le origini del movimento e la sua successiva istituzionalizzazione. Il risultato è una genealogia artefatta, che sovrappone due realtà distinte per natura, storia e finalità.
Appropriarsi della memoria di coloro che rifiutavano le istituzioni religiose centralizzate, e che vissero e subirono la persecuzione senza alcun riconoscimento ecclesiastico o politico, rappresenta un tradimento del loro lascito spirituale. È un tentativo di costruire una legittimazione retroattiva, piegando la storia ai bisogni ideologici del presente.
Come ammoniva lo storico Tucidide:
«La maggior parte degli uomini accetta senza riflessione la narrazione dei fatti, per quanto alterata essa sia» (Guerra del Peloponneso, I, 20).
Ma il compito dello storico, tanto più quando si tratta di eventi segnati dal sangue e dalla persecuzione, è opporsi alle narrazioni comode e restituire verità a chi è stato spogliato della propria voce.
3. Il progetto eterodiretto: Henry H. Ness e Frank B. Gigliotti
La nascita delle Assemblee di Dio in Italia non può essere vista come il frutto di un’evoluzione spontanea del pentecostalismo italiano. In realtà, essa rappresenta un piano eterodiretto, concepito da figure legate a circuiti massonici internazionali e ai servizi di intelligence statunitensi e israeliani. Lungi dal riflettere una risposta a un risveglio spirituale genuino, la sua creazione si inserisce in un’operazione geopolitica ben più ampia, progettata per consolidare l’influenza atlantica in Europa.
3.1. L’ingegneria religiosa transatlantica: Gladio, Bilderberg e il National Prayer Breakfast
Nel secondo dopoguerra, la riorganizzazione confessionale dell’Europa occidentale non fu un fenomeno casuale, ma il risultato di manovre politiche ben pianificate, strettamente legate alle strategie geopolitiche atlantiche. Tali operazioni furono orchestrate attraverso canali istituzionali come la NATO, le operazioni clandestine di Gladio e i circoli elitari internazionali come il Gruppo Bilderberg. La religione divenne così uno strumento fondamentale per il consolidamento politico ed economico del blocco atlantico, ma anche un canale per la diffusione della cultura e degli interessi americani in Europa.
Un aspetto centrale di questa strategia fu l’International Christian Leadership (che successivamente ha cambiato nome in «The Fellowship» o «The Family» con cui oggi si presenta), che organizzava eventi come il National Prayer Breakfast. Questi incontri divennero occasioni cruciali per forgiarsi alleanze politiche e religiose tra i leader degli Stati Uniti e quelli europei. L’organizzazione, infatti, non si limitò a fungere da ponte tra politica e religione, ma contribuì anche a modellare un’agenda evangelica strettamente allineata agli interessi geopolitici atlantici. Così facendo, facilitò la creazione di una rete internazionale di sostegno per i progetti filoamericani, integrando l’evangelismo in una più ampia agenda geopolitica globale.
3.2. Henry H. Ness: l’agente politico-religioso e fondatore delle Assemblee di Dio in Italia
Henry H. Ness (1894–1970), pastore delle Assemblies of God negli Stati Uniti, non era semplicemente un predicatore. La sua figura si inseriva all’interno di un disegno più ampio di manipolazione religiosa e geopolitica. Infatti, Ness era un agente sotto copertura, con l’obiettivo preciso di modificare il panorama religioso europeo. La sua affiliazione all’International Christian Leadership (oggi noto come «The Fellowship» o «The Family») lo collegava direttamente alle reti massonico-politiche transatlantiche e lo rendeva un interlocutore privilegiato per gli apparati di intelligence statunitensi e israeliani. La sua missione in Italia era finalizzata a riorientare il pentecostalismo italiano, distogliendolo dalle sue radici riformate per orientarlo verso una visione arminiana e dispensazionalista, coerente con gli interessi geopolitici atlantici. Ness non agiva per promuovere un risveglio spirituale genuino, ma per creare un movimento facilmente manipolabile a fini geopolitici.
I documenti storici, inclusa la corrispondenza incrociata tra Henry H. Ness, Frank B. Gigliotti e la sede centrale delle Assemblies of God negli Stati Uniti, forniscono prove inequivocabili che la nascita delle ADI non fu il risultato di un risveglio spontaneo, ma il frutto di un progetto esterno, pianificato da forze sovranazionali. L’intervento di Ness, lungi dal rispondere a esigenze puramente religiose, rispondeva a precise necessità geopolitiche, con l’obiettivo di adattare l’identità pentecostale agli scopi strategici di un blocco politico e religioso transatlantico.
La presenza a Parigi durante la Conferenza dei Ventuno (1947)
Nel 1947, oltre al suo ruolo di fondatore delle Assemblee di Dio in Italia, come egli stesso dichiarò e come R. Bracco gli riconobbe (cf. The Pentecostal Evangel, 10.12.1949, p.10), Henry H. Ness si trovò coinvolto in attività diplomatiche di rilevante portata. Una delle tappe più significative fu la sua partecipazione alla «Conferenza dei Ventuno» a Parigi, un incontro di alto livello che riuniva i principali attori mondiali impegnati nella riorganizzazione geopolitica del mondo nel periodo post-bellico. Sebbene Ness non fosse un delegato ufficiale, il suo ruolo fu tutt’altro che marginale. Non si limitò a partecipare come semplice osservatore, ma assunse una posizione strategica come lobbista politico-religioso e infiltrato diplomatico. La sua presenza in tale contesto non può essere vista come un’iniziativa evangelistica, ma come un elemento di una strategia ben orchestrata, finalizzata a influenzare le politiche religiose e a promuovere l’allineamento politico-religioso dell’Europa con gli Stati Uniti, nel contesto della Guerra Fredda. Questa partecipazione segnò un passaggio cruciale nell’attuazione di una strategia globale mirata a consolidare l’influenza atlantica, utilizzando la religione come uno strumento fondamentale per rafforzare la presenza americana in Europa.
L’intervento in Italia: la creazione delle ADI
Nel 1946, Henry H. Ness fu introdotto al V Convegno Pentecostale Nazionale di Roma da Hermann Parli, altro personaggio su cui vi sarebbe molto da dire, forse in un altro articolo. Nonostante non fosse stato invitato ufficialmente, Ness non si limitò a un ruolo marginale, ma con abilità e determinazione impose la creazione di una struttura confessionale centralizzata. Attraverso manipolazioni psicologiche e pressioni diplomatiche, fornì le linee guida per la redazione di uno statuto, che poi sarebbe stato scritto da R. Bracco, e riposizionò teologicamente il movimento pentecostale italiano. Da una teologia riformata, si passò a una dottrina arminiana e dispensazionalista metodista, segno evidente di un’operazione non religiosa, ma politica e strategica. Questo spostamento dottrinale non fu il risultato di una naturale evoluzione del movimento, ma di una progettazione geopolitica, volta ad allineare il pentecostalismo italiano con gli interessi del blocco atlantico. Il movimento non venne riorientato solo teologicamente, ma venne strumentalizzato come parte di un disegno geopolitico volto a consolidare una presenza evangelica sotto il controllo degli Stati Uniti e delle forze occidentali.
L’incontro con Papa Pio XII
Nel 1947, Henry H. Ness ebbe un incontro privato con Papa Pio XII, ma la natura di questo incontro non fu quella di un semplice predicatore che cercava la benedizione del Vaticano; piuttosto, Ness si presentò come un negoziatore politico-religioso. In quel contesto, vennero siglati accordi riservati che garantirono la creazione delle Assemblee di Dio in Italia, segnando la convergenza tra gli interessi evangelici e quelli geopolitici del Vaticano. L’intervento di Ness non si limitò a un impegno religioso, ma divenne quello di un mediatore diplomatico, mirante a incanalare il movimento pentecostale verso un progetto strategico che rispondeva agli obiettivi del blocco atlantico. Questo incontro rivela chiaramente che la missione di Ness non era la semplice diffusione del Vangelo, ma la fusione dell’evangelismo con un disegno geopolitico al servizio di potenze straniere e di una strategia anticomunista. A distanza di ottant’anni, i frutti di tale opera sono oggi visibili nel ruolo di Alessandro Iovino, legato alle famiglie di Alfonso Melluso e Salvatore Anastasio, che furono strettamente vicini a Ness e ne divennero i referenti evangeici in Italia.
L’incontro con il Rabbino Capo di Roma e il viaggio in Israele
Nel 1947, mentre avviava la creazione delle Assemblee di Dio in Italia, Henry H. Ness non incontrò solo il Papa ma anche il Rabbino Capo David Prato, consolidando così i legami tra il movimento pentecostale italiano e le autorità israeliane. Questo incontro non fu un episodio isolato, ma parte integrante di un progetto ben preciso che intrecciava l’evangelismo con il sionismo. La visita di Ness in Israele, avvenuta poche settimane dopo, partendo con un volo speciale proprio da Roma, si configurò come un simbolo del suo ruolo non solo come predicatore, ma come emissario di un piano geopolitico che mirava a promuovere la restaurazione di Israele all’interno di una strategia evangelica-sionista. Non si trattava di sostenere la causa religiosa in sé, ma di integrare l’evangelismo nel più ampio disegno geopolitico delle potenze mondiali, con particolare attenzione agli interessi di Israele e degli Stati Uniti.
Questa visita rientrava nella visione millenarista della costruzione del Terzo Tempio, una dottrina che, nel contesto della strategia di sionismo evangelico, trovava terreno fertile nella cooperazione tra il movimento evangelico americano e il movimento sionista. Ness, dunque, non fu solo un predicatore, ma un abile operatore politico-religioso, che contribuì alla creazione di un movimento evangelico allineato con gli interessi geopolitici di Israele e degli Stati Uniti, utilizzando la religione come strumento per consolidare l’influenza globale in Europa e in Israele.

3.3. Frank B. Gigliotti: l’agente destabilizzatore
Frank B. Gigliotti (1896–1975), cittadino statunitense di origini italiane, si configura come figura nodale nei processi di destabilizzazione politico-religiosa che interessarono l’Italia e l’Europa nel secondo dopoguerra. Agente dell’Office of Strategic Services (OSS), antesignano della CIA, e massone di 33º grado nel Rito Scozzese Antico e Accettato, Gigliotti agì quale intermediario privilegiato fra gli apparati dell’intelligence americana e le élite religiose europee, perseguendo l’obiettivo di piegare l’assetto ecclesiastico continentale alle istanze dell’atlantismo emergente.
Il suo apporto alla fondazione delle Assemblee di Dio in Italia (ADI) non fu espressione di un’autonoma evoluzione del risveglio pentecostale italiano, bensì il frutto di un’operazione pianificata e orchestrata per rafforzare la penetrazione protestante filoamericana e filosionista nella penisola. Le ADI non nacquero come manifestazione genuina dello Spirito, ma come strumento funzionale a un disegno geopolitico che vedeva nella religione un veicolo di influenza culturale e controllo ideologico.
La sinergia tra Gigliotti e Henry H. Ness fu determinante nel garantire il riconoscimento giuridico delle ADI, segnando il primo passo di un’infiltrazione che si sarebbe estesa nei decenni successivi, ampliando la sua influenza anche su altri settori del pentecostalismo, talvolta erroneamente definito “indipendente”. Questo passaggio cruciale, nel contesto di un cambiamento teologico e organizzativo postbellico, legittimò le ADI all’interno di un disegno globale che rispondeva alle necessità geopolitiche degli Stati Uniti. L’intervento di Gigliotti, insieme a quello di Ness, non si limitò a un’azione religiosa, ma divenne una mossa strategica, volta a incanalare il movimento pentecostale nelle dinamiche geopolitiche atlantiche.
L’influenza di Gigliotti, tuttavia, trascese l’ambito ecclesiale. Egli fu tra gli artefici occulti della costituzione della loggia massonica Propaganda Due (P2), operando come reclutatore e finanziatore di Licio Gelli, futuro maestro venerabile della loggia. Storici come Daniele Ganser (op. cit., pp. 73–74) attestano che, sin dagli anni ’50, l’apparato americano – attraverso figure come Gigliotti – promosse la creazione di una rete massonica segreta con l’obiettivo di contrastare l’espansione del comunismo in Italia. Durante l’amministrazione Nixon, il supporto statunitense alla P2 crebbe esponenzialmente, con il governo degli Stati Uniti che convogliava decine di milioni di dollari mensili per finanziare un programma di destabilizzazione volto a manipolare l’equilibrio politico nazionale. In tale cornice, la religione – e in particolare il pentecostalismo – fu selezionata come strumento operativo nella guerra ideologica.
Un tassello ulteriormente rivelatore del legame fra la strategia geopolitica atlantica e la penetrazione delle reti massoniche nelle strutture religiose italiane è offerto dall’intervista rilasciata da Licio Gelli ad Alessandro Iovino, giornalista pentecostale e discendente delle famiglie direttamente coinvolte nei rapporti con Henry H. Ness. Nell’intervista, pubblicata nel 2009, Iovino domanda con sorprendente disinvoltura all’ex venerabile maestro della loggia massonica Propaganda Due:
«Quale è il merito maggiore della P2?».
Una domanda che, lungi dall’essere una provocazione retorica o una sfida giornalistica, si configura come un quesito neutro, persino deferente, rivolto a un personaggio che fu il regista occulto di una delle più oscure trame eversive della Repubblica. La risposta di Gelli – «gli italiani dovrebbero ringraziare la P2: ha fatto in modo di non fare andare i comunisti al potere» – è sì sconcertante, ma ancor più lo è l’assenza di qualsivoglia contestazione o giudizio critico da parte dell’intervistatore, che sembra accettare passivamente la narrazione dell’interlocutore, legittimando implicitamente la funzione “salvifica” di una struttura dichiaratamente illegale e sovversiva.
A rendere l’episodio ancor più eloquente è la dinamica che lo rese possibile: è noto che Gelli concedesse interviste solo in casi eccezionali, dopo scrupolose verifiche di affidabilità, e che l’accesso alla sua residenza di Arezzo fosse rigidamente controllato. Che un giovanissimo giornalista evangelico, privo di rilievo presso le grandi testate italiane, sia riuscito a ottenere un colloquio con una figura di tale levatura simbolica e strategica non può che sollevare interrogativi. Appare improbabile che l’incontro sia avvenuto per semplice iniziativa individuale: è molto più plausibile che sia stato favorito da una rete fiduciaria preesistente, che affondava le sue radici in ambienti religiosi e familiari già profondamente permeati da dinamiche di cooptazione massonica e da relazioni opache con i vertici di potere.
Tale episodio – reso ancor più significativo dal legame familiare di Iovino con ambienti ecclesiali (Anastasio-Melluso) prossimi a quelli che accolsero l’infiltrazione americana nel pentecostalismo italiano – mostra con chiarezza quanto la rete di influenze costruita da Henry Ness e Frank Gigliotti non sia stata una parentesi del passato, ma una struttura ideologica e spirituale tuttora operante. Il riconoscimento implicito della “meritorietà” della loggia P2 da parte di un autore evangelico, senza che venga sollevato alcun dissenso etico o teologico – a cui si è tentato di porre rimedio solo in seguito alle critiche con un volume monografico su Gelli, in cui l’autore prova a prendere le distanze – conferma quanto la colonizzazione ideologica delle chiese pentecostali italiane, iniziata nel secondo dopoguerra, abbia prodotto effetti profondi e duraturi nel pensiero religioso contemporaneo, fino a influenzare le modalità con cui si elabora la memoria e si costruisce la narrazione ecclesiale.
Emblematico, altresì, fu il viaggio che Frank B. Gigliotti compì in Sicilia nei giorni immediatamente precedenti la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), accompagnato da Umberto N. Gorietti – primo presidente delle Assemblee di Dio in Italia e, all’epoca, alle dipendenze dell’azienda calzaturiera Anastasio-Melluso, anch’essi pentecostali, in rapida ascesa. Infatti, proprio in quegli stessi anni, in modo del tutto casuale e fortunoso, tale azienda stava transitando da una gestione familiare di modeste dimensioni a una realtà nazionale, e successivamente internazionale, favorita anche dall’introduzione di macchinari all’avanguardia. La mutazione dell’azienda Melluso e dei pentecostali rientra in una di quelle casualità che fanno riflettere.
Con Gigliotti, Fama e Gorietti viaggiava anche un pastore romano (verosimilmente R. Bracco), ufficialmente con l’intento di tutelare le comunità pentecostali locali. La singolare coincidenza temporale con uno degli episodi più drammatici della storia repubblicana, unita alle denunce parlamentari avanzate successivamente da Luigi Cipriani (1991), fa sorgere domande inquietanti come diremo meglio nella tabella che segue.
Non secondaria è la rete di corrispondenza incrociata fra Gigliotti, Ness e il quartier generale delle Assemblies of God statunitensi, come documentato nel volume Storia del risveglio pentecostale in Italia della dott.ssa Patrizia Nicandro. Tali scambi epistolari attestano in modo inequivocabile che la nascita delle ADI non fu espressione autonoma del pentecostalismo italiano, ma venne orchestrata secondo un preciso piano confessionale e geopolitico. Questo schema influenzò in modo permanente la struttura, l’identità e le alleanze teologiche del movimento, ancorandolo saldamente agli interessi del blocco atlantico.
In definitiva, Frank B. Gigliotti non può essere compreso semplicemente come figura religiosa, ma va interpretato quale agente esecutivo di un’architettura egemonica che utilizzava il pentecostalismo come strumento d’ingerenza, legittimazione e controllo. Il suo operato, nella sua ambiguità e complessità, getta una luce inquietante sulle origini delle ADI, rivelando le profonde implicazioni politico-massoniche di un progetto che travalicava di gran lunga i confini della spiritualità cristiana.

Dalla pagina di The Pentecostal Evangel del 24 maggio 1947 p.7 emergono, in estrema sintesi, due fatti importanti:
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Il primo è che già dal lontano 1947 era noto che dietro la circolare Buffarini-Guidi vi fosse il coinvolgimento diretto del Vaticano, che impartiva ordini al Ministero dell’Interno. È un paradosso che oggi, coloro che si ergono a “revisionisti” storici, avessero davanti agli occhi tale verità da sempre, senza mai proferir parola al riguardo. La mano nascosta della Chiesa Cattolica Romana, quale religione di Stato, dietro la Buffarini-Guidi, non era un mistero, come ben sapevano gli osservatori dell’epoca. In quanto autorità religiosa preminente, il Vaticano esercitava una costante pressione sul governo italiano affinché reprimesse il movimento pentecostale, percepito come una minaccia alla sua egemonia religiosa nel Paese. A conferma di ciò, l’8 agosto 1947, Henry Ness si incontrò con Papa Pio XII, ottenendo il risultato desiderato. Sebbene le discriminazioni contro i pentecostali continuarono per alcuni anni in alcune aree rurali, nelle grandi città cessarono immediatamente, dimostrando così l’efficacia della mediazione di Ness con il Vaticano.
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La seconda circostanza degna di nota risale al 9 aprile 1947, data in cui Frank B. Gigliotti, insieme a Charles Fama, U.N. Gorietti e un altro pastore romano (con ogni probabilità R. Bracco), si recò in Sicilia, toccando le città di Palermo, Trapani e Agrigento, con il dichiarato intento di sostenere e rafforzare la causa dei pentecostali locali. Sebbene questa missione appaia formalmente conforme a un’ordinaria attività di natura ecclesiale, essa si colloca in un arco temporale sorprendentemente prossimo a un evento ben più oscuro e inquietante: il documentato incontro tra lo stesso Gigliotti e Salvatore Giuliano, celebre bandito siciliano, avvenuto in un periodo imprecisato ma comunque anteriore alla strage di Portella della Ginestra, consumatasi il 1° maggio dello stesso anno.È precisamente in questo contesto che emergono elementi di gravità storica non trascurabili. Secondo testimonianze parlamentari rese dall’onorevole Luigi Cipriani nel 1991 – nell’ambito delle discussioni sull’operazione Gladio – risulterebbe che Gigliotti, insieme a Scamporino, Corvo e Poletti, fu tra coloro che fornirono armamenti alla banda Giuliano (cfr. P. Nicandro, op. cit., nota 76, p. 242). È doveroso osservare che tali operazioni furono condotte nel più assoluto riserbo, sotto l’egida della segretezza e della copertura politico-militare. Ancora più significativo risulta un dettaglio apparentemente marginale ma altamente rivelatore: la presenza, durante quella missione siciliana, di una scorta armata composta da militari statunitensi, equipaggiati con mitragliatrici. Per quale motivo una simile protezione militare avrebbe dovuto accompagnare dei semplici ministri religiosi? Quali interlocutori si apprestavano a incontrare? La risposta non può essere semplicemente ricondotta al clima di instabilità politica e sociale che affliggeva l’isola: troppo strutturata e mirata appare l’operazione per poter essere ridotta a una mera misura precauzionale.Ulteriore conferma dell’intreccio tra missione ecclesiale e disegno geopolitico giunge da fonti accademiche secondo cui, nel corso di un colloquio avvenuto a Washington nel 1947 con Giuseppe Saragat, Gigliotti avrebbe ammesso esplicitamente d’aver incontrato Giuliano e di aver approvato l’impiego della violenza quale strumento di contenimento del movimento comunista in Sicilia – approvazione che, di fatto, culminò nel massacro di Portella della Ginestra. Una tale ammissione getta nuova luce sulle reali finalità del viaggio intrapreso da Gigliotti, Gorietti e Bracco, ma indurrebbe a considerarlo parte integrante di un più ampio disegno geopolitico statunitense, volto a indirizzare – anche tramite il sostegno a elementi armati irregolari – l’equilibrio politico dell’Italia post-bellica.Sebbene, in assenza di ulteriori elementi probatori, non sia possibile formulare asserzioni definitive, la contiguità temporale e logica di tali eventi non può non sollevare interrogativi stringenti. La sovrapposizione tra una missione religiosa apparentemente innocua e un’azione politico-militare sotterranea non è coincidenza trascurabile, ma piuttosto indizio perturbante di un’osmosi tra poteri spirituali e interessi strategici, le cui implicazioni storiche meritano un’indagine ben più approfondita.
4. Il tradimento delle radici teologiche e storiche
La narrazione che presenta le Assemblee di Dio in Italia (ADI) come la naturale continuazione del pentecostalismo italiano delle origini è una distorsione storica e teologica, che travisa non solo i fatti, ma anche le fondamenta dottrinali del movimento.
4.1. Il pentecostalismo delle origini: radici riformate, non arminiane
Il pentecostalismo italiano delle origini affonda le sue radici in una visione della salvezza interamente dipendente dalla grazia sovrana, estranea all’arminianismo wesleyano che caratterizzò altri rami del movimento pentecostale giunti successivamente in Italia. Le prime comunità, sorte dalla Chiesa Presbiteriana Italiana di Chicago, professavano l’elezione incondizionata, la centralità di Cristo e la totale sufficienza del sacrificio del Calvario, in piena continuità con la tradizione riformata da cui provenivano.
Tale orientamento teologico fu trasmesso ai pionieri italiani – tra cui Luigi Francescon, Giacomo Lombardi e Pietro Ottolini – dal pastore Filippo Grill, che ne fu mentore spirituale, e venne confermato dall’influenza dottrinale di William H. Durham (1873–1912), pastore battista riformato di Chicago, promotore della dottrina dell’Opera Compiuta (Finished Work of Calvary). In contrapposizione al perfezionismo metodista, Durham insegnava che:
- la rigenerazione è frutto esclusivo della grazia;
- la salvezza, in tutte le sue fasi, è già compiuta nell’opera di Cristo;
- il battesimo nello Spirito Santo, posteriore alla nuova nascita, è dono gratuito e non condizione per la perfezione;
- la vita cristiana è radicata nella sovranità di Dio e nella perseveranza dei santi.
I pionieri italiani non aderivano a un sistema teologico astratto, ma accoglievano con semplicità e riverenza ciò che ritenevano testimoniato dalle Scritture: una salvezza opera esclusiva di Dio, in Cristo, mediante la fede. Provenendo da una chiesa che aveva fatto propri gli articoli confessionali della Riforma, e formati da un ministero che esaltava la croce come compimento, essi fondavano la propria fede sui principi della sola gratia, sola fide, solus Christus, rigettando ogni concezione sinergistica.
Basta consultare l’innologia pentecostale dei primi decenni per cogliere l’impronta della teologia riformata: inni permeati dal tema dell’elezione gratuita, della grazia irresistibile e della perseveranza dei redenti, in un costante richiamo alla sovranità dell’Agnello.
Il loro pentecostalismo:
- non fu una rottura con la teologia riformata, ma il suo naturale prolungamento spirituale;
- vide nel battesimo nello Spirito Santo una sovrana effusione della grazia, non un mezzo per il perfezionamento etico;
- resistette a ogni tentazione antropocentrica, riaffermando la gratuità dell’opera divina.
Come già osservato altrove, il pentecostalismo italiano delle origini custodiva una visione alta della salvezza, centrata su Dio e sulla sua iniziativa redentrice. Questo fondamento teologico ne garantì l’autenticità e ne preservò l’integrità, almeno fino all’ingresso di influenze confessionali eterogenee e interessi politici estranei alla sua matrice spirituale.
4.2. L’infiltrazione arminiana e dispensazionalista: Henry H. Ness e Francesco Toppi
Con l’arrivo in Italia di Henry H. Ness (1946–1948) e la successiva (de)formazione teologica di Francesco Toppi presso quello che allora si chiamava International Bible Training Institute (IBTI) di Sussex — un’istituzione diretta dal massone e sionista Frederick Squire — il pentecostalismo italiano delle origini subì una metamorfosi radicale, tanto nella struttura quanto nella dottrina. Toppi, ancora giovane e teologicamente immaturo, fu prontamente assorbito dall’ambiente ideologico dell’IBTI, venendo plasmato in funzione di un progetto che mirava a ristrutturare il pentecostalismo italiano secondo modelli funzionali al disegno geopolitico del blocco atlantico. Sotto la sua guida, la tradizione riformata e cristocentrica dei pionieri del pentecostalismo italiano venne gradualmente soppiantata da una teologia estranea, fondata su due pilastri: l’arminianismo, con la sua visione sinergica della salvezza, e il dispensazionalismo, una dottrina moderna, artificiosa, sistematizzata nel XIX secolo da John Nelson Darby (1800–1882), figura teologica quanto mai controversa.
Darby, fondatore del movimento dei Fratelli di Plymouth, era erede di una nobile famiglia irlandese proprietaria di Leap Castle, un maniero noto per le sue oscure vicende storiche e la sua fama sinistra. In quel luogo, tra i più infestati d’Irlanda secondo numerose cronache locali e ispezioni archeologiche, furono ritrovati numerosi scheletri murati in un’intercapedine segreta, accompagnati da strumenti di tortura e simboli esoterici. Sebbene non vi siano prove dirette che John Nelson Darby aderisse alle pratiche spiritiche associate alla storia oscura del castello di famiglia, è tuttavia innegabile che la sua costruzione teologica maturò in un contesto culturale segnato da un millenarismo escatologico di matrice anglosassone, da fermenti revivalistici dai toni enfatici da un’escatologia ansiogena e da una crescente tendenza a leggere la storia sacra attraverso categorie simboliche e profetiche, proprio mentre muovevano i primi passi il proto-sionismo teologico e il sionismo politico europeo, destinati a confluire nel progetto di restaurazione nazionale e territoriale dello Stato d’Israele.
La dottrina delle due fasi del ritorno di Cristo — rapimento segreto della Chiesa prima della tribolazione, e ritorno visibile per instaurare il Regno — non trova alcun fondamento nei testi patristici, nella scolastica, né nella Riforma protestante. È un’invenzione moderna. La sua rapida diffusione fu favorita non da una superiore coerenza esegetica, ma dal sostegno editoriale, teologico e finanziario di reti anglo-americane legate ai circoli bancari ashkenaziti, che ne colsero il valore politico: trasformare l’escatologia in uno strumento per legittimare il progetto sionista, presentando la restaurazione dello Stato d’Israele come condizione necessaria al compimento delle profezie bibliche con la costruzione del «Terzo Tempio».
Francesco Toppi, formato in questo clima, divenne inconsapevolmente promotore di una teologia eterodiretta, che frammentava il disegno unitario della redenzione e contraddiceva la rivelazione biblica secondo cui vi è un solo popolo eletto: quello della fede nel Messia-Redentore (Ab 2:4; Ro 1:17; Ga 3:7–9; Eb 10:38). Il dispensazionalismo, infatti, introduce una dicotomia estranea alla Scrittura, affermando l’esistenza di due popoli eletti — Israele e la Chiesa — con due piani salvifici separati. Così, le promesse dell’Antico Patto non risultano adempiute in Cristo e nella Chiesa, ma proiettate su un futuro Israele etnico, restaurato politicamente e territorialmente. Una tale impostazione nega implicitamente l’identità dell’Israele spirituale (Ro 9:6–8; Ga 6:16), disconosce il compimento cristologico delle promesse (2Co 1:20) e svuota la Chiesa della sua eredità escatologica, attribuendola a un’etnia anziché alla fede. È una teologia della separazione, non dell’adempimento; della dicotomia, non della pienezza; dell’attesa terrena, non della speranza celeste.
Si generò così un cortocircuito dottrinale: da un lato, si professava la continuità dei doni spirituali; dall’altro, si adottava una visione escatologica che li considerava estinti. Questo paradosso rivelava il carattere imposto, non organico, di quella trasformazione teologica, il cui vero scopo era ideologico e geopolitico, non biblico né spirituale.
In conclusione, il cuore del tradimento risiedette non soltanto nell’introduzione di categorie soteriologiche antropocentriche – spostando l’attenzione sul libero arbitrio, un principio massonico e antibiblico, ma nella sottomissione dell’escatologia cristiana a un progetto politico, in cui la speranza del ritorno del Cristo fu sostituita da un programma etno-territoriale, in funzione di un’alleanza strategica tra evangelismo americano e sionismo israeliano. Le Assemblee di Dio in Italia, nella misura in cui accolsero questa visione, divennero — pur forse inconsapevolmente — strumento di un piano teologico-politico di matrice straniera, lontano dallo spirito dei pionieri pentecostali italiani, i quali attendevano il ritorno di Cristo e il regno di Dio dopo la manifestazione dell’anticristo e non la restaurazione etnica di Israele.
4.3. Il caso Dayton: una mistificazione editoriale e la prova del tradimento teologico
La consumazione finale del tradimento teologico si è compiuta nel 2023 con la pubblicazione, a cura delle Assemblee di Dio in Italia, del volume «Le radici teologiche del Movimento Pentecostale» di Donald W. Dayton (Theological Roots of Pentecostalism, 1987). Quest’atto editoriale, soltanto in apparenza accademico, segna una svolta ideologica e sancisce la legittimazione di una palese aberrazione storiografica. Dayton, esponente del pensiero holiness e vicino al metodismo radicale, propone un modello genealogico del pentecostalismo integralmente incentrato sulla dottrina wesleyana della santificazione perfetta (entire sanctification) e su un battesimo nello Spirito concepito come “terza benedizione” — una visione inconciliabile persino con la pneumatologia storica delle ADI, almeno fino ai tempi della presidenza di Francesco Toppi.
Secondo Dayton, le origini del pentecostalismo andrebbero rintracciate unicamente all’interno del movimento holiness ottocentesco, senza alcun contributo della tradizione battista riformata, della soteriologia calvinista o del cristianesimo restaurazionista. Una tesi non solo parziale, ma — come attestato da studiosi di primo piano quali Allan Anderson, William W. Menzies, Cheryl Bridges Johns, Amos Yong, Edith Blumhofer, Grant Wacker, Darrin Rodgers e Daniel Ramirez — anche teologicamente fallace e storiograficamente fuorviante.
Emblematica, a tal riguardo, è l’assenza totale di riferimenti a William H. Durham — pastore battista riformato e primo teologo pentecostale a formulare la dottrina della Finished Work of Calvary, reinterpretando la soteriologia classica della Riforma in chiave anti-holiness. Tale omissione, tutt’altro che casuale, è frutto di una scelta metodologica deliberata, volta a escludere ogni genealogia alternativa al paradigma wesleyano.
Proprio attorno alla teologia dell’ Opera perfetta e completa di Cristo compiuta sulla Croce elaborata da Durham si coagulò il ramo pentecostale da cui discende direttamente il movimento italiano: un ramo distinto, profondamente radicato nella fede riformata e sviluppatosi nel grembo della Chiesa Presbiteriana Italiana di Chicago. Luigi Francescon, Pietro Ottolini, Giacomo Lombardi e gli altri pionieri non aderivano in alcun modo alla second blessing theology wesleyana: al contrario, la rigettavano in quanto incompatibile con la grazia sovrana e gratuita dell’opera redentrice del Calvario. E, per amor di verità, la rigettavano fino a pochi decenni or sono anche le stesse Assemblee di Dio in Italia, al contrario della «Chiesa di Dio in Italia», che sì, è di matrice holiness.
La pubblicazione italiana del volume di Dayton assume così i contorni di una riscrittura ideologica retroattiva, funzionale a legittimare ex post la progressiva deriva arminiana e holiness delle ADI, in palese rottura con le proprie autentiche radici fondative. Una rottura che ha generato ciò che altrove abbiamo definito «Pentecostalismo OGM» : una creatura teologica ibrida e adulterata, costruita a posteriori, che ha reciso ogni legame con la matrice riformata e autoctona da cui germogliò il vero pentecostalismo italiano.
La prefazione all’edizione italiana redatta da Salvatore Cusumano, conferma la natura apologetica dell’operazione. In essa non si ravvisa alcuna presa di distanza critica dai limiti metodologici e contenutistici dell’impianto genealogico di Dayton — né sotto il profilo storico, né sotto quello teologico, né tanto meno in ottica interculturale. Al contrario, con tono sobrio e apparentemente neutrale, si insinua l’idea di una presunta continuità tra l’eredità wesleyana e il pentecostalismo italiano, senza menzionare nemmeno una volta la dottrina della Finished Work, il rigetto storico del dispensazionalismo cessazionista, o il contesto pluralista in cui si svilupparono le prime comunità italiane in Nord America. L’opera viene definita «contributo specialistico», ignorando volutamente che la sua tesi è oggi ampiamente superata dalla storiografia più autorevole e globalmente informata.
Ci troviamo dinanzi a una vera e propria mistificazione editoriale — l’ennesima — che, oltre a violare la verità storica, produce un danno teologico e identitario irreparabile se non adeguatamente contrastato. Ed è per questo che questo articolo (non escludo di scriverci un libro) non si propone come opinione tra le tante, ma come necessità intellettuale ed ecclesiale.
Il paradosso si acuisce se si considera che tale volume è stato pubblicato non dalla «Chiesa di Dio in Italia» wesleyana che ne aveva tutto l’interesse, ma proprio da un movimento — le ADI — le cui autentiche origini sono profondamente ancorate alla diaspora evangelica italiana di Chicago, nella tradizione presbiteriana e nella teologia dell’opera compiuta. Tutti temi che risultano totalmente ignorate, se non deliberatamente cancellate, dal modello storiografico proposto da Dayton. In tal modo, le Assemblee di Dio in Italia finiscono per promuovere una genealogia che le esclude, e che — proprio attraverso le sue omissioni — contribuisce a recidere le proprie stesse radici. Un clamoroso caso di auto-espropriazione identitaria, reso possibile soltanto da un oblio deliberato della verità storica.
Alla luce di ciò, la decisione delle ADI di pubblicare nel 2023 un’opera come quella di Dayton — che nega le origini dottrinali e le radici riformate del pentecostalismo italiano — non può essere considerata una semplice iniziativa culturale. È un atto di clamorosa diserzione identitaria, un tradimento cosciente e deliberato, compiuto con piena consapevolezza. Non si tratta più di ignoranza, ma di adesione convinta a un processo di riscrittura della storia, funzionale al riallineamento del pentecostalismo italiano su coordinate arminiane e antropocentriche. Un pentecostalismo che, nel nome di una presunta eredità holiness, si rende compatibile con i dettami ideologici del mondo contemporaneo, rinnegando in modo sistematico la visione cristocentrica, biblica e riformata che aveva animato i suoi fondatori.
Pubblicare Dayton nel 2023 non significa «studiare le radici del pentecostalismo»: significa innestare nel corpo ecclesiale italiano una narrazione costruita ad arte, ideologicamente orientata, teologicamente fallace e storiograficamente mistificatoria. È un gesto che consacra il distacco definitivo dalle radici riformate del movimento, e che dimostra come il disegno inaugurato da Henry Ness e Frank Gigliotti — volto a colonizzare il pentecostalismo italiano mediante categorie teologiche americane e interessi geopolitici atlantici e filosionisti — sia ormai giunto a piena maturazione.
4.4. La rimozione simbolica di L. Francescon e P. Ottolini
Un atto particolarmente grave di omissione memoriale segna il tradimento teologico e storico perpetrato dalle Assemblee di Dio in Italia (ADI). Alla morte di Luigi Francescon, avvenuta il 7 settembre 1964 a Oak Park (Illinois) all’età di 98 anni, e di Pietro Ottolini, deceduto nel 1962 a St. Louis (Missouri) all’età di 93 anni, l’organo ufficiale delle ADI, Il Risveglio Pentecostale, non pubblicò alcuna notizia, necrologio o commemorazione. Questo silenzio non fu una semplice disattenzione editoriale, ma un gesto deliberato, una forma di damnatio memoriae nei confronti dei due principali pionieri del pentecostalismo italiano.
Francescon e Ottolini non furono mere figure di contorno, ma architravi spirituali e storici del risveglio pentecostale italiano, protagonisti di un’opera che non solo darà origine al petnecostalismo in Italia (unico al mondo ad essere autoctono) e ta gli italiani negli Stati Uniti ma si spingerà fino al Sud America (Argentina e Brasile). Il silenzio editoriale delle ADI non può essere spiegato come una svista o una lacuna comunicativa: esso si configura come un atto lucido, volontario, programmatico. Una rimozione ideologica e simbolica, volta a estirpare ogni legame con il pentecostalismo riformato, indipendente e sovrano delle origini, per sostituirlo con una narrazione confessionale artificiosa, costruita a posteriori secondo dettami teologici eterodiretti.
Francescon e Ottolini furono padri fondatori di un movimento animato da fervore evangelico, estraneo alla logica denominazionale, radicato nella grazia sovrana e nella libertà dello Spirito, avverso a ogni forma di clericalismo o compromesso ideologico. Proprio per questo, la loro memoria risultava inconciliabile con l’identità che le ADI vollero forgiare sotto l’influenza arminiana, dispensazionalista e filo-sionista promossa da Henry H. Ness fin dalla loro fondazione.
Tale damnatio memoriae non rappresenta dunque un semplice torto personale, ma costituisce una cesura irreversibile sul piano teologico, ecclesiologico e memoriale. Il silenzio ufficiale su Francescon e Ottolini è il segno tangibile della volontà delle ADI di H. Ness e dei suoi referenti (Anastasio e Melluso) di recidere radicalmente le radici dal pentecostalismo originario, per poter costruire una nuova identità conforme agli interessi politici e confessionali del blocco atlantico. Come ammoniva Tacito: “Oblivione saeviorem memoriam esse” – «Talvolta, il ricordo è più crudele dell’oblio». Ma in questo caso, l’oblio stesso fu lo strumento del dominio: non si volle ricordare, perché ricordare avrebbe significato confessare il tradimento.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, forse resosi conto dell’inganno e mosso da un tardivo impulso di ravvedimento, Francesco Toppi — storico presidente delle ADI — tentò un’opera di recupero memoriale, dedicando monografie e articoli ai pionieri del risveglio pentecostale italiano, pubblicati sulla rivista Cristiani Oggi, allora in formato quindicinale. In quelle pagine traspariva l’intenzione di riallacciare il movimento italiano alle sue autentiche radici, anteriori all’infiltrazione teologica e geopolitica delle Assemblies of God americane, compromesse con ambienti massonici, atlantisti e sionisti. Tuttavia, quel tentativo, per quanto lodevole, giungeva troppo tardi per risanare una frattura ormai storicamente, strutturalmente e teologicamente consolidata.
Per dirla con Orazio: «Non omnis moriar» — «Non morirò del tutto». La memoria di Francescon, pur oscurata in modo sistematico dal discorso ufficiale delle ADI, non poteva essere né pienamente cancellata né frettolosamente riabilitata attraverso una semplice pubblicazione: l’intera impalcatura dottrinale e istituzionale delle ADI era ormai saldamente edificata sul modello imposto da Henry H. Ness. Lo stesso Francesco Toppi, pur tentando un emendamento simbolico, si trovò a pagare il prezzo di una traiettoria divenuta ormai irreversibile. Nel 2007 fu costretto alle dimissioni — secondo fonti riservate, con modalità non prive di elementi inquietanti — e gli succedette Felice Antonio Loria, il quale riaffermò con zelo il legame strategico con il mondo massonico e sionista delle Assemblies of God statunitensi.
Pochi mesi dopo l’elezione, Loria si recò in visita ufficiale in Canada, dove incontrò — tra gli altri — David Di Staulo (membro di una loggia massonica) e Davide Mortelliti (nipote di Vincenzo Federico su cui vi sarebbe molto da dire – documentato -, al di là della biografia agiografica pubblicata da ADI_Media), rinsaldando il vincolo con la diaspora italo-pentecostale nordamericana. La visita proseguì negli Stati Uniti, culminando con un incontro a Springfield, presso la sede centrale delle Assemblies of God USA. La foto ufficiale e l’articolo pubblicato su Il Risveglio Pentecostale (dicembre 2008), intitolato emblematicamente «Per rinsaldare le radici spirituali», parlano da sé: si “rinsalda” ciò che prima era stato saldato, ma che con il tempo si era allentato o incrinato. Toppi aveva tentato — con gesto coraggioso ma ormai inefficace — di rompere quell’innesto artificiale, per riannodare il filo con l’originale identità del risveglio italiano. Loria, al contrario, ne riaffermò l’irreversibilità, sigillando definitivamente il processo di americanizzazione e di colonizzazione ideologica geopoltica e sionista innestata dai massoni e agenti dei servizi segreti Henry H. Ness e Frank B. Gigliotti.
La mossa tardiva di Toppi, dunque, non fu soltanto un tentativo di risanare il passato, ma una tacita ammissione dei danni irreversibili provocati dalla deriva teologica e storica delle ADI. Nonostante i successivi sforzi volti a riscrivere la narrazione ufficiale, la verità storica è rimasta inalterata, e la distorsione del passato non potrà mai essere del tutto sanata, soprattutto quando essa lede la memoria dei fondatori autentici: uomini che, con sacrificio e abnegazione, posero le fondamenta spirituali di un movimento oggi sopravvissuto soltanto nel ricordo dei giusti o in piccole comunità domestiche indipendenti. In effetti, il pensiero teologico e sionista introdotto da Henry H. Ness e Frank B. Gigliotti ha progressivamente contaminato l’intero panorama pentecostale italiano, travalicando i confini delle ADI ed estendendosi anche alle realtà formalmente indipendenti.
Anzi, in questa congiuntura storica, complice anche il fenomeno migratorio, il pentecostalismo non aderente alle ADI appare ormai interamente assorbito dai dettami dell’ideologia atlantica e del sionismo escatologico, avendo reciso ogni legame con la visione riformata e cristocentrica che animò il risveglio delle origini. Nel frattempo, all’interno delle stesse ADI, l’ala più conservatrice – che aveva tentato una reazione all’egemonia instaurata da Felice A. Loria – fatica a mantenere un equilibrio, stretta tra il desiderio di proseguire idealmente il percorso di recupero avviato da Toppi e le crescenti pressioni esercitate da organi internazionali, in primis dalle Assemblies of God statunitensi, le quali mirano a consolidare un allineamento integrale con le agende confessionali e geopolitiche del pentecostalismo globale, sempre più soggetto all’influenza dell’apparato massonico e sionista internazionale.
Parlo con cognizione di causa: ho personalmente conosciuto e frequentato tutti i personaggi ritratti nella foto e menzionati nell’articolo del Risveglio Pentecostale a firma di Felice Antonio Loria. Ho cenato nelle loro case, intrattenuto lunghe conversazioni con loro — ad eccezione di Daniele Marra — e visitato ed esplorato tutta la sede centrale delle Assemblies of God a Springfield, Missouri, dove incontrai l’intero Comitato direttivo durante il mandato del Sovrintendente Thomas E. Trask, il quale mi ricevette personalmente nel suo ufficio. Conservo documentazione scritta, audio e fotografica a testimonianza di tali incontri. Conosco a fondo quell’ambiente: ne ho colto la cultura interna, l’ideologia dominante, le direttrici strategiche. Nulla di quanto affermo è frutto di ipotesi, ma è radicato in esperienze dirette, maturate nel tempo, fondate su relazioni reali con i protagonisti stessi di quel sistema.

5. La memoria tradita e l’identità usurpata
Manipolare la memoria storica non è un semplice atto di falsificazione; è un tentativo subdolo di distruggere l’identità stessa di un popolo. Le Assemblee di Dio in Italia non si sono limitate a distorcere il passato, ma hanno compiuto un atto ben più grave: hanno usurpato la dignità dei veri martiri, strumentalizzando la memoria di coloro che, in nome della fede, hanno sacrificato tutto per rimanere fedeli alla grazia sovrana. Un simile atto di appropriazione indebita non può essere tollerato, poiché mina il cuore stesso della nostra fede e della nostra identità. È fondamentale ripristinare la verità storica con intransigenza, affinché ogni sacrificio dei pentecostali perseguitati non venga annientato dalla menzogna. La testimonianza della grazia divina non può essere sacrificata su nessun altare ideologico. Senza la verità, ogni memoria perde il suo valore, e con essa, la possibilità di costruire una fede autentica.
5.1. L’appropriazione indebita della memoria pentecostale
Ogni manipolazione storica non solo distorce i fatti, ma trasforma l’identità di un popolo. È impensabile preservare l’integrità spirituale di un movimento se non si protegge la sua memoria. Un popolo senza memoria è un popolo senza radici, senza direzione, senza fondamento. La memoria storica, infatti, è ciò che conferisce significato alle esperienze di fede e sacrificio, e la sua distorsione compromette l’intero cammino spirituale di una comunità.
L’articolo Novant’anni di Buffarini-Guidi, a firma di Salvatore Cusumano per le Assemblee di Dio in Italia, è un esempio lampante di una distorsione intenzionale della verità. Non si tratta semplicemente di una narrazione storica errata, ma di un’operazione deliberata volta a usurpare la memoria di chi, nel contesto della persecuzione fascista, ha mantenuto intatta la propria fede, senza compromessi. La ricostruzione retroattiva dell’identità delle ADI non è semplicemente un errore, è un atto di violenza contro la verità storica e spirituale.
Le evidenze documentali sono inequivocabili: i perseguitati sotto il regime fascista non appartenevano alle Assemblee di Dio in Italia, che non esistevano ancora. Essi erano pentecostali indipendenti, saldamente radicati nella teologia della grazia sovrana, estranei sia all’arminianismo che al dispensazionalismo che in seguito sarebbero stati introdotti nelle ADI, e completamente distanti da ogni legame massonico o esoterico. Attribuire la sofferenza di questi pentecostali della prima ora alle future ADI non solo è ingiusto, ma rappresenta un vero e proprio inganno. Come ha giustamente osservato un pentecostale proveniente da una famiglia di pastori da tre generazioni, che ha preso coscienza di tale distorsione: questa appropriazione indebita è una forzatura che annulla il sacrificio dei veri e irriducibili pentecostali.
Non possiamo permettere che la memoria dei pionieri pentecostali venga rubata da chi ha distorto la fede per scopi identitari e politici. Ogni tentativo di appropriarsi della sofferenza altrui per costruire una narrazione che non corrisponde alla verità storica è un atto di ingiustizia grave. E questa ingiustizia non solo nega il giusto onore a chi ha sofferto, ma distrugge anche il significato stesso del sacrificio. La memoria, se non è preservata nella sua integrità, diventa strumento di manipolazione, invece di essere il fondamento per edificare una fede autentica. È essenziale, quindi, difendere la verità storica, anche quando essa mette in luce le contraddizioni di chi tenta di riscrivere il passato a proprio favore.
Ogni atto di appropriazione indebita della memoria storica mina l’essenza stessa della fede cristiana. Non è possibile separare la verità dal sacrificio, e ogni distorsione della verità storica ha un impatto diretto sulla purezza della fede. Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a tale ingiustizia. La verità deve essere restaurata, senza compromessi, affinché ogni martirio conservi il suo valore eterno. Solo allora il sacrificio dei pentecostali perseguitati potrà essere realmente onorato e ricordato per ciò che è: una testimonianza della grazia sovrana di Dio.
5.2. Una testimonianza cancellata: l’ombra lunga della damnatio memoriae
La manipolazione della narrazione storica non si limita a distorcere i fatti: essa corrode l’identità stessa di un popolo, sfigurando la memoria collettiva e minando le radici di una comunità. Preservare l’integrità spirituale di un movimento è impossibile senza mantenere intatta la sua memoria. La vera memoria storica non piega la verità a fini identitari, ma restituisce una testimonianza autentica che onora chi ha sofferto per la propria fede.
I pentecostali perseguitati sotto il regime fascista furono testimoni di una fede saldamente radicata nei principi della Riforma che professavano il credo «Sola gratia, sola fide, solus Christus». La loro soteriologia, fondata sull’elezione divina, li collegava direttamente alla Chiesa Presbiteriana di Chicago, dove, sotto la guida di Filippo Grill e successivamente influenzati da insegnamenti come quelli di William H. Durham, loro “padre” pentecostale, impararono che la salvezza è un’opera esclusiva della volontà sovrana di Dio (Atti 13:48; 16:14).
Contrariamente a quanto sostenuto successivamente, i pionieri pentecostali italiani non si riconoscevano nell’arminianismo né nell’impostazione dispensazionalista che avrebbe contraddistinto le ADI. Le comunità perseguitate durante il regime fascista erano estranee a principi che avrebbero plasmato la fondazione delle ADI, e non avrebbero mai abbracciato l’orientamento teologico che sarebbe prevalso in seguito. Questi pentecostali, formati nella Chiesa Presbiteriana italiana di Chicago e in seguito sotto l’influenza di Durham da cui avevano ricevuto il messaggio pentecostale, credevano nell’elezione divina, non per motivi filosofici o confessionali, ma perché persuasi dalla semplice lettura della Bibbia. Il loro unico codex.
A conferma di questo tradimento storico e teologico, emerge il clamoroso silenzio dell’organo ufficiale delle ADI, Il Risveglio Pentecostale, che omise deliberatamente ogni menzione della morte di Luigi Francescon nel 1964. Questo non è un semplice errore, ma una damnatio memoriae intenzionale: una cancellazione della memoria di uno dei principali pionieri del pentecostalismo italiano.
La sistematica esclusione di Francescon dalla memoria ufficiale delle ADI segnala:
- La volontà di recidere ogni legame con le radici autentiche del movimento pentecostale italiano, nonostante il suo ruolo fondamentale nella sua fondazione;
- Il tentativo di costruire una nuova identità confessionale, disancorata dalle origini, modellata su influenze geopolitiche e confessionali esterne, tra cui quelle americane e sioniste.
In questo contesto, il silenzio su Francescon diventa un segno eloquente. Non è solo una mancanza di rispetto verso un fondatore del movimento, ma una manifestazione di un tradimento dottrinale che ha compromesso l’autenticità storica e teologica del pentecostalismo italiano. Come ammoniva Seneca: Memoria futurorum est historia praeteritorum — «La storia del passato è la memoria del futuro» (De Brevitate Vitae, X, 3). Questo ammonimento ci richiama a un principio fondamentale: chi tradisce la memoria dei padri non ha il diritto di reclamare la verità per sé.
5.3. Le responsabilità morali della mistificazione
Quando la storia viene riscritta per fini politici, non solo si distorce il passato, ma si tradisce l’intero progetto di verità e giustizia. La verità storica non è una questione di opinioni o interpretazioni soggettive; è una questione di giustizia e di memoria collettiva. Come possiamo accettare una narrazione che manipola o ignora le radici autentiche di un movimento che ha pagato un prezzo altissimo per la propria fede e la fedeltà alla grazia sovrana?
Sovrapporre l’esperienza dei pentecostali perseguitati durante il fascismo alla storia delle Assemblee di Dio in Italia non è solo un errore: è una falsificazione della verità storica. Questo atto di mistificazione svuota il sacrificio di chi ha sofferto per mantenere intatta la propria fede, diventando un meccanismo per legittimare scelte ideologiche ed ecclesiastiche che nulla hanno a che fare con l’autenticità del movimento pentecostale delle origini.
Nel riscrivere la storia, si perpetra una grave responsabilità morale che riguarda principalmente:
- La falsificazione della verità storica, intollerabile in qualsiasi contesto accademico o teologico;
- La strumentalizzazione della memoria, finalizzata a creare legami ideologici che non sono mai esistiti, a scapito dei veri irriducibili pentecostali che hanno sacrificato la propria vita per la causa del Vangelo;
- Il tradimento dell’eredità spirituale autentica, che non solo nega la realtà storica, ma riduce l’esperienza dei perseguitati a pedine di un progetto confessionale opportunistico.
L’onestà teologica e la scienza storica impongono il dovere di:
- Ristabilire le distinzioni tra il pentecostalismo delle origini e quello delle ADI, che, pur facente parte del movimento pentecostale globalista, ha evoluto una teologia diversa da quella del movimento originario in Italia;
- Rendere giustizia ai veri testimoni della grazia sovrana, perseguitati senza protezione se non quella divina, che rinunciarono a tutto, compresa la propria sicurezza, per rimanere fedeli alla verità del Vangelo;
- Denunciare ogni tentativo di riscrivere la memoria per fini apologetici o confessionali, distorcendo la realtà storica per adattarla a un’agenda ideologica.
Come ammoniva Tacito: Falsus in uno, falsus in omnibus – «Falso in una cosa, falso in tutte» (Annales, 3.65). Il compito del vero storico è resistere alla tentazione di distorcere i fatti per convenienza, preservando la verità, anche quando essa contrasta con il mito che si cerca di costruire. Questo è il compito di chi lotta instancabilmente per il rispetto della realtà storica, a dispetto del pensiero prevalente.
Conclusione
La verità storica è la pietra angolare su cui poggia ogni giustizia. Senza di essa, ogni sacrificio perde il suo significato e la sua profondità, diventando vano. Alla luce delle fonti documentali, delle analisi storiche e della corrispondenza incrociata tra Henry H. Ness, Frank B. Gigliotti e il quartier generale delle Assemblies of God USA, possiamo affermare con fermezza:
- Le ADI non furono mai vittime della persecuzione fascista, come spesso erroneamente suggerito;
- La loro fondazione fu il risultato di un progetto politico e confessionale eterodiretto, plasmato da forze esterne e in sintonia con gli interessi geopolitici atlantici;
-
La loro teologia arminiana e dispensazionalista tradisce le radici riformate del pentecostalismo delle origini, modificando profondamente la visione teologica che ne costituiva il fondamento per fini geopolitici.
La verità storica e teologica ci impone di riconoscere la memoria dei veri pentecostali perseguitati, liberandoci dalle manipolazioni ideologiche che travisano i fatti per ragioni di convenienza confessionale. È un dovere morale preservare la verità storica in tutta la sua purezza, senza piegarla per adattarla ad agende politiche o confessionali.
Rendendo giustizia ai veri testimoni della fede pentecostale delle origini, onoriamo e rafforziamo il principio evangelico eterno: «La verità vi farà liberi» (Giovanni 8:32). Questa libertà non è intellettuale o politica, ma una liberazione del cuore e della mente, che ci conduce a una conoscenza autentica e profonda di Dio, radicata nella verità incommutabile della Sua Parola.
La verità non ha bisogno della forza per imporsi, né dell’inganno per affermarsi. Essa vince senza violenza, persuade senza costrizione, e conquista le coscienze con la sola forza della luce. È questa una convinzione che attraversa la tradizione patristica — da Agostino a Bernardo di Chiaravalle — secondo la quale la verità, anche quando è perseguitata, non viene mai sconfitta, ma trionfa nella pazienza, nella mitezza e nella grazia. La verità non si piega ai poteri del tempo, ma resiste e si erge come un testimone eterno, che non può essere né negato né distorto, poiché essa è immutabile e al di sopra di ogni convenienza terrena.
Le Assemblee di Dio in Italia, prima di commemorare i novant’anni della Circolare Buffarini-Guidi, dovrebbero intraprendere una riflessione profonda, esaminando con serietà le ingiustizie da loro inflitte a tanti innocenti. Le vessazioni, le calunnie, le persecuzioni persistenti e le cospirazioni, come quella ordita in collaborazione con David Di Staulo delle Assemblies of God Canadesi contro il sottoscritto, allora poco più che trentenne, costituiscono un capitolo della loro storia che non può essere rimosso o ignorato. Non è sufficiente manipolare la memoria storica per apparire come i vincitori; la vera vittoria consiste nel riconoscere e assumersi la responsabilità del dolore causato, affrontando il passato con verità e giustizia. La memoria di coloro che hanno subito ingiustizie, in nome della fede pentecostale delle origini, deve essere rispettata e onorata, lontano da qualsiasi manipolazione o revisione ideologica che ne distorca la vera essenza.
In questo percorso di restituzione della verità, la memoria storica non solo deve essere preservata, ma deve anche diventare guida per le future generazioni, affinché il cammino della fede continui a essere alimentato dalla luce della verità, che non può essere mai oscurata da false ricostruzioni o da interessi egoistici e ideologici.
Note
- Ganser, Daniele, NATO’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe, London, Frank Cass, 2005.
- Li Vigni, Benito, Salvatore Giuliano. Il bandito che fu strumento di Stato e Mafia,
- Manica, Giustina, Portella della Ginestra, Le Monnier, Firenze
- Nicandro, Patrizia, Il Risveglio Pentecostale: Dalla semplicità dell’Evangelo alla complessità dell’organizzazione AltroMondo Editore, 2024.
- OSS Records, Frank B. Gigliotti file, U.S. National Archives, Record Group 226 (Office of Strategic Services Records), College Park, Maryland.
- Palmer, R.D., “For The Cause of Christ Here in Italy”: America’s Protestant Challenge in Italy and the Cultural Ambiguity of the Cold War, in «Diplomatic History», Vol.29, 2005, pp. 625–654.
- OSS Records, Frank B. Gigliotti file, U.S. National Archives, Record Group 226 (Office of Strategic Services Records), College Park, Maryland.
- https://scholarshare.temple.edu/server/api/core/bitstreams/d50ff5be-a0ac-4660-8214-f16609a7d0fc/content
Articoli
- Lo sbarco degli Alleati e la fine della persecuzione, 2023.
- La verità sul riconoscimento giuridico delle Assemblee di Dio in Italia , 2021.
- Henry H. Ness, il fondatore delle Assemblee di Dio in Italia, 2021.
- Frank B. Gigliotti scrive sul Corriere della Sera, 2020.
- Le Assemblee di Dio in Italia, 2019.
- Gli accordi segreti per creare le Assemblee di Dio in Italia, 2017.
- Il successo di Frank Gigliotti ed Henry Ness, 2017.
- Le radici teologiche del pentecostalismo italiano
- Le radici “calviniste” del pentecostalismo itaiano
Una disamina che mi trova d’accordo su molti punti.
Ne elenco solo alcuni a titolo esemplificativo:
– Persecuzione Fascista e ADI: Contrariamente a quanto afferma Cusumano, la persecuzione fascista non prese di mira direttamente le ADI come organizzazione, ma singoli credenti pentecostali, alcuni dei quali solo in seguito aderirono alle ADI (come Roberto Bracco).
– Radici Pentecostali e Sviluppo ADI: Le ADI rappresentano una rottura con le radici del pentecostalismo originario, discostandosi dai pionieri e adottando una teologia e una struttura diverse. Il pentecostalismo classico, come dimostra la storia di figure come Giacomo Lombardi e i legami con il Risveglio valdese di Geymonant, non era arminiano.
– Pericolosità del “Rapture” e della dottrina delle “due fasi del ritorno di Cristo”: Entrambi i concetti risultano essere dannosi e alla base di gruppi apocalittici responsabili di abusi e massacri di massa (Jonestown, Children of God, Branham e seguaci). Credere alle rivelazioni di Margaret McDonald sul rapimento della Chiesa, prive di fondamento patristico e riformato, è antievangelico e settario.
– Critiche a “The Family”: L’organizzazione “The Fellowship” (già International Christian Leadership), nota per il National Prayer Breakfast, è oggetto di serie critiche da parte di studiosi e giornalisti d’inchiesta per le sue oscure dinamiche di potere e possibili malefatte.
– Abusi nelle Assemblee di Dio (AOG): Nonostante si definiscano la più grande denominazione pentecostale mondiale, recenti notizie riportano gravi accuse di abusi e traffico di persone all’interno di chiese delle Assemblee di Dio negli Stati Uniti (Springfield, Missouri).https://julieroys.com/assemblies-of-god-atlanta-church-accused-trafficking-ministry-students-lawsuit-claims/?fbclid=IwY2xjawKEwihleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETFyRGlnazNOZWVaNGRlOFJkAR4UfmiXFKhvCPhVKgG1I9tHGUBo7izwI6mXt9aSA4gOei_rpHGu9B9VhlHESA_aem_Kv9ggLEcwcf9dgYtP8AIpw
È innegabile che i fedeli pentecostali, sia nel passato che nel presente, sono completamente estranei all’idea di essere strumenti di una strategia geopolitica atlantica o di avere leader impegnati in infiltrazioni politiche.
Caso emblematico è quello de La Luz del mundo: https://insurgenciamagisterial.com/la-luz-del-mundo-ya-tiene-senadores-y-diputados/?fbclid=IwY2xjawKEyjtleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETFyRGlnazNOZWVaNGRlOFJkAR5c_BaqNPDnkY2wCMdBb89XobhUBOCMPeFxSRJevehVhHkgUVt1FX4Hmtnqww_aem_FtHuecINxTJDFA4XXF4tyQ
Ringraziamo per il commento puntuale e condivisibile, che coglie con acume diversi nodi irrisolti della narrazione dominante e conferma, per l’ennesima volta, quanto sia urgente una riscrittura veritiera, libera e teologicamente fondata della storia pentecostale italiana.
1. ADI E PERSECUZIONE FASCISTA
È doveroso ribadire con forza che le Assemblee di Dio in Italia, fondate nel 1947, non furono oggetto della persecuzione fascista del 1935–1944. La propaganda odierna che tenta di assimilare le ADI a quelle sofferenze è una mistificazione storiografica. I veri perseguitati furono i pentecostali delle origini – pionieri autonomi, spesso battisti o presbiteriani – ben distinti per struttura, spirito e teologia da ciò che le ADI sarebbero poi divenute.
2. RADICI TEOLOGICHE RIFORMATE
La teologia dei pionieri pentecostali italiani – Francescon, Ottolini, Lombardi – non affondava le proprie radici nell’arminianismo né nella santificazione perfetta di Wesley, ma si fondava sulla Finished Work di William Durham: una dottrina cristocentrica, biblicamente ancorata e coerente con la soteriologia della Riforma. Il pentecostalismo italiano nacque da un tronco autoctono, spiritualmente radicale e teologicamente riformato, non da innesti stranieri.
La metamorfosi teologica successiva, fortemente “consigiata” (ergo: imposta) dagli agenti dei servizi segreti H. Ness e F. Gigliotti e benedetta dai poteri esterni, non fu casuale: fu funzionale ai nuovi assetti geopolitici del secondo dopoguerra, in particolare all’allineamento del protestantesimo europeo al blocco atlantico e agli interessi sionisti in vista della nascita dello Stato di Israele. Fu l’inizio di un lento ma sistematico spostamento da una fede centrata sull’opera di Cristo verso un cristianesimo politico, sionista, funzionale a un’agenda mondialista.
3. IL PERICOLO DELLA DOTTRINA DEL “RAPIMENTO SEGRETO” PRE-TRIBOLAZIONISTA
Il cosiddetto “rapimento pre-tribolazionista”, teorizzato da John Nelson Darby e derivato dalle estasi pseudo-carismatiche di Margaret MacDonald, è una costruzione moderna priva di fondamento biblico e poi anche patristico e riformato. Questa falsa dottrina ha alimentato illusioni settarie e movimenti apocalittici deviati (Branham, Jonestown, ecc.), rendendosi strumento pericoloso di alienazione ecclesiale e manipolazione spirituale. Il vero ritorno di Cristo non sarà frammentato, ma glorioso, visibile, escatologicamente unitario.
4. L’AMBIGUITÀ DI “THE FELLOWSHIP”
L’organizzazione nota come The Family, legata al National Prayer Breakfast e a figure evangeliche di potere, costituisce un chiaro esempio della degenerazione politica e oligarchica di certa religiosità americana. Il pentecostalismo delle origini, umile e radicalmente evangelico, è qui tradito in nome di compromessi mondani e logiche geopolitiche estranee al Vangelo.
5. ABUSI E SCANDALI NELLE ASSEMBLEE DI DIO (USA)
Le notizie recenti relative a casi di abusi e traffico di esseri umani in alcune chiese delle AOG negli Stati Uniti non possono essere ignorate. Esse rivelano, nella loro gravità, come l’istituzionalizzazione della fede, quando slegata dalla verità biblica e dalla vigilanza profetica, possa diventare veicolo di controllo e sopraffazione, anziché strumento di grazia e liberazione.
Concludiamo con un monito profetico: ogni chiesa che dimentica le proprie radici per inseguire un’identità imposta dai “poteri forti”, ogni comunità che sostituisce la Parola con la propaganda, ogni movimento che svende la propria libertà per ottenere riconoscimento umano, ha già smarrito la sua vocazione. Ma finché esisteranno credenti disposti a difendere la verità con coraggio e sobrietà, la fiamma dell’Evangelo non verrà spenta.
Da Francesco Toppi a Salvatore Cusumano: Bugiardi, imbroglioni, ignoranti, collusi? “Potrete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre”. La verità, come l’acqua, prima o poi, trova sempre la strada per venire alla luce.
L’interessante e documentato saggio di Filippo Chinnici, asseverato da fonti storiche di indubbia autenticità e di certa provenienza, pone fine, una volta per tutte, alla fantasiosa, edulcorata ed agiografica pretesa di legittimazione storica delle A.D.I. – perseguitate, a loro dire, dal regime fascista – che plurime volte nei convegni pastorali e nelle assemblee generali auscultai da Francesco Toppi, presidente dell’organizzazione dal 1997 al 2007, che, ancor oggi, Salvatore Cusimano, successore nella cura della Comunità che fu del primo in Roma, Via Repetti, si ostina a sciorinare.
Giustamente, argomenta Filippo Chinnici, si tratta di una operazione di mitopoiesi confessionale che non è una cattiva parola, bensì la tendenza umana a inventare favole e creare miti. Indubbiamente, nell’immaginario collettivo rende parecchio rappresentare che i natali dell’odierna organizzazione riposano in un substrato persecutorio, piuttosto che in un disegno ben concepito dalla massoneria anglo-sionista. Ora, finché la narrazione è fine a sé stessa poco importa, ma quando ex cathedra la si vuole spacciare urbi et orbi per verità storica, o l’insegnante è impreparato e quindi non ha titolo per stare in cattedra, oppure è in mala fede e in tal caso è intellettualmente disonesto.
Rammento ai miei pazienti lettori che perseguitate non furono le A.D.I. che, ripeto, in quel tempo non esistevano ancora, bensì i liberi evangelici pentecostali che avendo creduto nel Signore Gesù morto per i nostri peccati secondo le Scritture e secondo le medesime risorto dai morti (1 Cor. 15:3) patirono, a causa della fede nel Signore nella quale rimasero fermi, ostilità, carcere, confino di polizia e quant’altro Amo, in proposito, riferire la testimonianza di mio padre, Francesco, che, fervente cattolico pagano, convertitosi all’Evangelo nel 1928, all’età di 25 anni, mercé la lettura delle Sacre Scritture che lui stesso si procurò perché il prete cui le aveva ripetutamente chieste lo rimandava sine die; il quale mi parlava sempre della persecuzione patita in era fascista e del carcere che lui stesso, insieme ad altri fratelli, sperimentarono, quando delle A.D.I. non c’era, ancora, nemmeno l’ombra.
Ricordo, come ora, quando, nei convegni e nelle assemblee generali, Francesco Toppi ci rappresentava che: “nell’immediato dopoguerra, ancora sussistente l’intolleranza nei confronti del culto pentecostale, allorquando i maggiorenti della costituenda organizzazione cominciarono ad adoperarsi per ottenere il riconoscimento giuridico, si richiedeva, da parte del governo italiano, un atto dichiarativo emesso da una associazione di Chiese consorelle giuridicamente riconosciute in altre importanti nazioni, preferibilmente americana, che garantisse la serietà di intenti della nascente organizzazione italiana. Sicché, tale attestato venne chiesto alla “Chiesa Cristiana del Nord America” che essendo all’epoca soltanto un’associazione di fatto non poté fornire quanto il documento richiesto. Fu allora che le Assemblies of Good (AoG), organizzazione di Chiese consorelle giuridicamente riconosciute in tutti gli Stati Uniti d’America, spontaneamente offrirono il loro aiuto sottoscrivendo il documento che, riconoscendo il movimento italiano, ne garantiva la serietà di intenti nell’ambito della più assoluta autonomia.
Così raccontata sembra una storia a lieto fine, a contrario, scorrendo la pagina web: https://storiapentecostale.org/novantanni-di-buffarini-guidi-verita-storica-e-mito-identitario/ è parecchio agevole reperire, dalle plurime fonti storico-documentali ivi presenti che l’abile Filippo Chinnici ha reperito nel corso delle sue lunghe ricerche, che il conseguimento del riconoscimento giuridico non fu una necessità dei pentecostali del tempo i quali con la forza e l’aiuto dall’Alto avevano patito e superato le vessazioni, bensì un piano bene architettato dal Past. Dott. Henry Hamilton Ness (1894-1870) delle Assemblies of God, USA legato a massoneria e servizi segreti e dal Past. Dott. Frank Bruno Gigliotti della Presbiterian Church, USA, pur’egli legato a massoneria, mafia e servizi segreti che con la compiacenza, più o meno consapevole, di alcuni dei nostrani maggiorenti evangelico pentecostali del tempo, nonostante le resistenze dei più, tradito lo spirito e la dottrina dell’evangelismo delle origini ed usurpatane la storia e la testimonianza diedero vita alla nascente organizzazione religiosa. Non si trattò, quindi, di una spontanea evoluzione del pentecostalismo italiano, bensì del compimento di un piano concepito da soggetti legati a circuiti massonici internazionali e ai servizi di intelligence statunitensi e israeliani nell’ambito di una ben più ampia operazione geopolitica al fin di consolidare l’influenza atlantica in Europa.
Ero poco più che adolescente quando nella mia città in Termini Imerese (PA), si celebravano ancora i culti al piano terra della casa messa gratuitamente a disposizione dalla sorella Concetta Cusimano in Morreale, nella Salita San Lorenzo – Via Alfredo La Manna; sicché, trascorsi un bel po’ di anni di permanenza in quella casa, il fratello Achille Riccomonte, un molto semplice fratello celibe della comunità avanti negli anni che sapeva appena leggere, ma con una grande fede nel Signore Gesù risorto dai morti, disponendo di risorse economiche, si dispose a sostenere quasi interamente il costo dell’acquisto del nuovo locale di culto nella Via Stesicoro 274 che venne di poi “donato” alle A.D.I. Oggi la comunità di Termini Imerese si raduna nel locale della Via Bevuto, 12.
Poiché in quel tempo, nella metà degli anni ‘70 del secolo scorso, i fratelli amavano, ancora, definirsi pentecostali ci fu una vera protesta quando videro la lapide in marmo da allocare all’esterno del nuovo locale nella Via Stesicoro con la scritta “Assemblee di Dio in Italia”. Mio padre ed altri fratelli protestarono vivamente: “Siamo pentecostali non Assemblee di Dio, siamo usciti da un papato e non vogliamo entrare in un altro papato”.
Ci sarebbe tanto da dire sulla proprietà dei locali di culto acquistati e/o costruiti col sacrificio della fratellanza e gioco-forza “donati” alle A.D.I. Nel pensiero dei fratelli la “donazione alle A.D.I.“ avrebbe dovuto essere sinonimo di garanzia, nel tempo si è scoperto che si è trattato di una vero e proprio inganno perché se per qualche motivo la comunità non è più d’accordo col “potere centrale” questo, che ha ormai acquistato il dominio del locale di culto, ne rivendica la proprietà e la comunità dei fedeli si ritrova senza un locale dove radunarsi. Non sono pochi i casi in cui l’Organizzazione ha rivendicato davanti al Giudice statuale la proprietà dei locali di culto. Ad oggi, molte comunità non si dissociano dalle A.D.I. perché non avrebbero dove radunarsi. Si può affermare, senza tema di smentita, che, oggi, la forza delle A.D.I. sono la proprietà dei locali di culto. Quindi una forza meramente economico – patrimoniale, non di condivisione di affetto e di comunione fraterna per come vuole la Sacra Parola.
Un po’ come certi pastori che pur capendo le menzogne, l’inganno e l’ipocrisia che ben si nutrono e pascono dentro le A.D.I sono impediti dal parlarne e dissentirne apertamente perché dipendendone economicamente non avrebbero come sfamare la loro famiglia per cui, se non vogliono patire la fame, sono costretti a restare in silenzio scendendo a compromessi con la propria coscienza. Nelle A.D.I. esiste la libertà di esprimersi e pensare come il “Consiglio Generale delle Chiese” o il “Comitato di Zona di Giurisdizione” vogliono che si pensi e ci si esprima e la vicenda occorsa allo scrivente lo dimostra appieno. Le A.D.I. sono, ormai, le persecutrici di tutti quei pastori che esponendosi, perché incapaci di venire a patti con la propria coscienza, hanno il coraggio di contestare diversamente argomentando come ben provano le vicissitudini occorse a Filippo Chinnici.
In uno dei convegni Francesco Toppi ebbe a dire: “Non so se abbiamo fatto bene a chiedere il riconoscimento”. Evidentemente, s’era accorto dell’errore fatto. Ma, quando accetti l’aiuto “fraterno” di soggetti e organizzazioni che sono tutt’altro che disinteressati, alla fine devi pagarne il prezzo. E così è stato per le A.D.I. pur se la stragrande maggioranza dei fedeli per un verso non se ne rende ancora conto perché veramente ignorante della storia e per altro verso ama ignorare perché preferendo non sapere, come lo struzzo mette la testa sotto la sabbia per non vedere la tempesta.
Sicché, nonostante le gratificazioni di circostanza e gli imbellettamenti di facciata, ne è venuta fuori un’organizzazione eterodiretta da mano massonica d’oltreoceano ove, l’evangelizzazione e la predicazione della Parola, nel tempo sempre più prive della potenza dall’Alto, finiscono per essere degli orpelli funzionali al più grande e maggior disegno esoterico ove, per come ebbe a dire il massone Franciscus, capo della pagana chiesa romana, al secolo Jorge Mario Bergoglio, da poco tempo passato dai fasti del tempo alle fiamme dell’eternità: “Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio”.
A contrario, i credenti nel Signore Gesù, salvati per grazia mediante la fede (Ef. 2:8) amiamo recitare che Cristo Gesù e la Via, La verità e la Vita e che nessuno va al Padre se non per mezzo di Lui (Gv 14:6). La Bibbia, l’eterna ed ispirata Parola di Dio, non concede tante strade per arrivare a Dio. Ne esiste solo una: Cristo Gesù, certezza di vita eterna! Tutte le altre sono imposture e falsità (Gv. 10:8).
Tanto premesso, concludendo con il detto cui in intestazione, pare attribuito ad Abramo Lincoln, pur’egli massone: “Potrete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre”, amo ricordare che la verità, come l’acqua, prima o poi trova la strada per venire alla luce. Pertanto, del saggio di cui in argomento, ne auspico e consiglio l’attento studio al fin di pervenire alla conoscenza della verità che può affrancare dalla schiavitù delle organizzazioni umane fine a sé stesse e non certo alla Gloria dell’Iddio Uno e Trino che sta edificando la Sua Chiesa.
Mario Lo Presti
ultimo tra gli ultimi lavoratori nella vigna del Maestro, per Sua grazia e contro i propri meriti, pastore della Comunità ADI di Lascari (PA), dai primi degli anni ‘90 dello scorso secolo a tutt’oggi, cacciato dall’Adian confraternita nel luglio dell’anno 2022, non per i motivi di cui all’art. 83 del Regolamento Interno delle ADI come falsamente, oziosamente e strumentalmente rappresentato dal Consiglio Generale delle Consorteria, bensì per avere, nel legittimo esercizio del diritto di critica, liberamente e pubblicamente espresso il proprio dissenso contro l’asservimento delle Assemblee di Dio in Italia alla menzogna della farsa pandemica, pubblicamente redarguendo, secondo le Scritture (2 Tim 4:2), a mezzo di lettera aperta, Gaetano Montante, presidente della Consorteria, che copioso ha osato esternare magne laudi al politico di turno in occasione del nuovo settennato presidenziale, mentre l’Italico popolo, fratelli compresi, venivamo stritolati da inique, inumane e incostituzionali restrizioni delle libertà personali, di culto, di lavoro, di circolazione, di studio, di cura et cetera.